LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza. Rilevato che con sentenza dell'8 ottobre 2004 n. 105/04 reg. sent., depositata in data 4 gennaio 2005 Zerman Gabriele Figus Vincenzo e Bortolotto Francesca sono stati assolti dal Tribunale di Venezia dai reati loro rispettivamente ascritti ai capi A - truffa e appropriazione indebita), B - estorsione), D - falso in bilancio), ed E - appropriazione indebita) dell'imputazione perche' il fatto non sussiste, nonche', dal reato di falso di cui al capo c), perche il fatto non costituisce reato; che la difesa della parte civile costituita sig.ra Giuseppina Grossi ha proposto rituale appello nei confronti di tutti tali imputati, limitando successivamente il gravame all' imputato Zerman Gabriele, con richiesta di riconoscimento, solo agli effetti civili, della sussistenza dei fatti-reati e conseguente condanna dello Zerman stesso al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita; che, successivamente alla proposizione dell'appello e' entrata in vigore la legge 20 febbraio 2006 n. 46 in tema di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento; che la parte civile ha depositato una memoria nella quale sostiene che la possibilita' di appello della parte civile contro le sentenze di assoluzione non sarebbe ne' esclusa ne' limitata dalla legge in oggetto; che tale interpretazione (che, comunque, non potrebbe sottrarsi a seri dubbi di incostituzionalita' per violazione degli artt. 3 e 111 della Costituzione determinando un'ingiustificata attribuzione di maggiori poteri di appello alla parte in difesa dei propri interessi patrimoniali rispetto a quelli riconosciuti al p.m. a tutela di un interesse pubblico) deve ritenersi infondata dovendosi affermare che, sulla base del testo della legge, la parte civile non ha piu' possibilita' di proporre appello avverso le sentenze di assoluzione dell'imputato in quanto: (a) l'art. 568 codice di procedura penale stabilisce in via generale il principio della tassativita' delle impugnazioni nel senso che un provvedimento del giudice puo' essere impugnato soltanto dai soggetti espressamente indicati e col mezzo espressamente stabilito; (b) l'art. 576 codice di procedura penale, nella sua attuale formulazione, attribuendo alla parte civile la possibilita' di proporre «impugnazione» ai soli fini civili, avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio non fa riferimento ad uno specifico mezzo d'impugnazione essendo venuto meno il richiamo, precedentemente contenuto nella norma e che legittimava l'appello della parte civile, ai mezzi previsti per il pubblico ministero. Tale mezzo dovra', percio', essere individuato sulla base delle specifiche norme in tema di appello e del ricorso per cassazione. (c) l'art. 593 codice di procedura penale indica unicamente nel p.m. e nell'imputato i soggetti legittimati a proporre appello avverso le sentenze di condanna o di proscioglimento e, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte civile nella memoria depositata, tale elencazione per quanto detto al punto a) deve ritenersi tassativa e non meramente elencativa. (d) appare ininfluente il richiamo all'art. 575 codice di procedura penale posto che l'appellabilita' da parte del responsabile civile delle sentenze di assoluzione (espressamente prevista) puo' essere esercitata solo nei limiti oggi previsti per l'imputato contro le sentenze di assoluzione. (e) egualmente ininfluente appare il richiamo all'art. 595 codice di procedura penale posto che l'appello incidentale puo' essere proposto solo dalla parte legittimata a proporre appello principale ed egualmente quello all'art. 600 codice di procedura penale che riguarda l'appello della parte civile in caso di sentenza di condanna. Palesemente infondata e' la questione di illegittimita' costituzionale prospettata per violazione degli artt. 3 e 24 cost., non potendosi qualificare come ingiustificata disparita' di trattamento l'ipotesi di costituzione della parte civile nel processo penale (in cui l'appello non e' ammesso) e l'ipotesi dell'azione risarcitoria esercitata in sede civile (in cui la parte puo' proporre appello) trattandosi di situazioni non omogenee. Quanto agli appelli gia' proposti prima dell'entrata in vigore della legge in oggetto non puo' trovare applicazione il principio tempus regit actum di cui all'art. 11 delle Disposizioni della legge in generale (secondo cui la legge non dispone che per l'avvenire e non ha affetto retroattivo), che la Corte di cassazione ha a suo tempo ritenuto applicabile, «in assenza norme transitorie che prevedano ipotesi di piu' o meno limitata retroattivita», nel caso della modifica dell'art. 593 c.p.p. che disponeva l'inappellabilita' delle sentenze di condanna a pena pecuniaria anziche' alla sola ammenda. Infatti nel caso di specie la norma transitoria esiste ed e' quella dell'art. 10 primo comma della legge, il quale stabilendo che la stessa si applica ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, non puo' avere altro senso che quello di estendere l'efficacia della legge agli appelli gia' proposti. E poiche' la norma transitoria dell'art. 10, secondo e terzo comma si applica solo agli appelli gia' proposti dal e dall'imputato per quanto concerne la parte civile deve trovare applicazione la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 568 c.p.p. con conversione in ricorso per cassazione dell'appello. Una tale interpretazione, che e' l'unica consentita dal testo della legge in esame (a nulla rilevando quale fosse la volonta' dei parlamentari che l'hanno approvata), comporta, peraltro, una conseguenza che la stessa Corte di cassazione, nelle sentenze sopra ricordate, ha definito inaccettabile in quanto un appello basato esclusivamente, cosi' come del tutto legittimo, su argomentazioni di merito dovrebbe, una volta convertito in ricorso, dichiararsi per cio' inammissibile; e diverrebbe automaticamente inammissibile un appello sottoscritto da un difensore non abilitato al patrocinio in cassazione. Tale interpretazione della legge di riforma, ha dichiarato la S.C., espone la stessa a piu' che fondati dubbi di legittimita' costituzionale. E vero infatti che il doppio grado del giudizio di merito non e' un principio costituzionalmente garantito, ma e' anche vero che, se il secondo giudizio di merito era stato richiesto nel momento in cui esso era previsto dalla legge, le conseguenze della sua soppressione non possono retroagire senza che cio' si traduca in una sostanziale espropriazione del diritto di difesa dell'appellante, sul quale ricadrebbero le conseguenze negative della forzata conversione del mezzo di impugnazione. Nel caso di specie il legislatore ha provveduto ad impedire tale conseguenza soltanto per quanto riguarda il pubblico ministero e l'imputato prevedendo in loro favore una sostanziale restituzione in termini per proporre ricorso per cassazione secondo il meccanismo previsto dai commi 2 e 3 dell'art. 10 mentre nulla e' detto a proposito della parte civile. Ne' sarebbe consentito, per il principio della tassativita' dei mezzi d'impugnazione, interpretare estensivamente tale disciplina in modo da applicarla anche alla parte civile. Cio' comporta un'evidente disparita' di trattamento tra p.m. ed imputato da un lato e parte civile dall'altro, disparita' che non trova alcuna ragionevole giustificazione trattandosi in tutti e tre i casi di parti nello stesso procedimento. Disparita' che costituisce, percio', palese violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione (che impone eguale trattamento di situazioni eguali) e del principio della parita' delle parti sancito dall'art. 111 della Costituzione. Si tratta di una questione rilevante nel presente processo in quanto dalla sua soluzione dipende il tipo di statuizione che dovra' prendere questa Corte d'ppello (conversione dell'appello della parte civile in ricorso per Cassazione con l'attuale normativa o dichiarazione di inammissibilita' dell'appello con diritto della parte civile di proporre ricorso per Cassazione entro 45 giorni dalla notifica del provvedimento nel caso che la questione di costituzionalita' proposta fosse ritenuta fondata).